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Intervista di Dores Sacquegna, curatrice mostra -GEO-GRAPHIES con l’artista Margot Reding-Schroeder- Lussemburgo
TRACCE E ARCHETIPI NELLE OPERE DI MARGOT REDING-SCHROEDER
DS - Chi è Margot Reding-Schroeder e da dove nasce il desiderio di fare arte contemporanea?
MRS - Ho iniziato da autodidatta ma nel tempo ho frequentato corsi di pittura, disegno, scultura e storia dell’Arte Contemporanea nelle Accademie di Belle Arti di Trier e Augsburg, ma anche seminari in Italia, Belgio e Lussemburgo. La mia arte è un processo di evoluzione personale e spirituale. La potrei definire una poesia per la materia, per la condizione umana, per la terra, per “nascere ed essere”. Mi piace sperimentare differenti come le polveri, sabbie, basalto, cenere, cera, pigmenti e per i miei soggetti sono ispirata dalla musica, dalla danza, dal linguaggio del corpo, dal senso di fragilità, dall’energia, dalle mutazioni ma anche dalla lotta della vita.. mi sento sospesa nel confine sottile tra figurazione e astrazione. Questo mi dà grande libertà espressiva e nello stesso tempo comunico il mio mondo, lasciando tracce.
DS - Hai partecipato a numerose mostre e fiere d’arte a livello europeo, più progetti e scambi artistici in Medio Oriente…quanto è importante per un artista contemporaneo vivere la condizione della globalizzazione in riferimento alla riconoscibilità e al mercato? E quali tra le nazioni in cui hai esposto ti ha dato maggiori riconoscimenti?
MRS - La globalizzazione nell'arte e nel mercato mi ha reso consapevole di quanto siamo simili nelle nostre creazioni, nonostante le differenze di ideologie, nazionalità e mercati artistici differenti. Ho ricevuto numerosi i premi e sono tutti visibili sul mio sito web. Tra i riconoscimenti mi piace segnalare l’incontro con il famoso critico d’arte Patrick-Gilles Persin, avvenuto durante l’Art Fair a Strasburgo in Francia e con cui ho lavorato alla mia monografia nel 2015 . Inoltre, ho pubblicato altri due cataloghi “The essentials” del 2005 con IDE editore italiano e ispirato dalla danza e dalla musica di Leonard/ Vlavanios e sponsorizzato parzialmente da Luxembourg Cultural Fund e “La Danse” del 2018, edito dalla Galleria Beck in Germania. La monografia e i due cataloghi sono conservati nelle Biblioteche Nazionali di Lussemburgo, di Francia e Germania.
DS - Le tue opere “White noise”, “Earthdust” - presenti nella mostra al femminile “Geo-Graphies: Rituali Identitari e Fragili Ecosistemi” – si proiettano a noi come mappe di un linguaggio ancestrale, che parla all’essere umano e alla terra.. quanto è importante per te lavorare per metafore, simboli e archetipi?
MRS- Per me sono fonte di ispirazione e visualizzazione di vita istintiva e spirituale. Riflettono il mio interesse per le descrizioni ancestrali - iscrizioni, alfabeti, segni, simboli – e sono le tracce dell’umanità: il mio è un modo per dialogare con la terra in maniera primordiale.
DS - Noi siamo la storia perché ci raccontiamo. Questo è il sunto di una serie di opere che trapelano le tracce e le memorie di un vissuto.. penso a “Traces”, e “Materia Earth Dust Symbols”. Ti ritieni un artista simbolista o la tua è solo una ricerca emozionale e spirituale?
MRS- Utilizzo il linguaggio simbolico quando sento la necessità di creare qualcosa con materiali grezzi. Le mie opere sono effimere e racchiudono significati profondi che guardano a concetti di nascita, evoluzione, morte ed eternità.
DS - Nella serie pittoriche come “ L’essential”, “China Ink”e “Dance”, l’attenzione è rivolta al colore e al suo essere un segno forte che abita lo spazio nei suoi vuoti e nei suoi pieni. Se dovessi scegliere un periodo della storia dell’arte del passato o del presente…in quale collocheresti la tua arte?
MRS - E’ difficile definirmi.. alcuni critici in base al periodo e al genere artistico mi hanno classificata nell’arte Informale, nella Astrazione lirica, nell’Arte Povera e più avanti nel Neo Espressionismo.
DS - Nell’opera “Spirale-Voluta”, le tre spirali al centro dell’opera, rappresentano il nastro della nascita e della morte, ma anche l’innalzamento dello spirito e il simbolo della madre terra.. Hai il senso del Divino in te?
MRS - C’è il senso spirituale della vita, dell’amore, dell’anima e di un ordine più grande. L’arte, la musica, la poesia, l’architettura e la danza, sono le grandi espressioni dell’umanità che danno a noi il potere di nutrirci della loro bellezza e armonia.
DS - Progetti futuri?
MRS -Ho diversi progetti tra cui: a Settembre 2020, una mostra in Germania in onore dello scrittore ebreo Paul Celan; la Contemporary Art Fair a Bruxelles in Belgio, rappresentata dalla mia galleria tedesca. Nel 2021 il Festival dell'Arte a Lellingen nel nord di Lussemburgo ; una mostra collettiva presso ARC Art Circle a Lussemburgo e un’altra Fiera d’Arte Contemporanea in Germania.
MARGOT REDING-SCHROEDER è un artista lussemburghese, che vive ed opera a Lussemburgo (Gran ducato di Lussemburgo). Ha all’attivo numerose mostre e Art Fair a livello internazionale (Austria, Italia,Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Turchia, Olanda) , ottenendo prestigiosi premi e riconoscimenti. Tra le mostre recenti, la partecipazione all’evento al femminile “Geo-Graphies: Rituali Identitari e fragili ecosistemi”, allestito a Lecce presso la Fondazione Palmieri, mostra, che proseguirà la sua programmazione, finita l’emergenza COVID-19. Selezionata dal comitato scientifico di Primo Piano LivinGallery per la migliore tecnica espressiva, l’artista riceve il Gold Certificate Award per l’opera ” Earthdust-Inscriptions”.
https://margoart.lu/
Info mostra: https://primopianospecialprojects.com/
«Brûler à l'aide de mille feux». Exposition VALENTINY Foundation, 2021
Je remercie:
La presse luxembourgeoise: les journalistes et critiques d’art qui ont accompagné mon parcours artistique – expositions et visites d’atelier – depuis 1999 jusqu’à maintenant
LËTZEBUERGER JOURNAL:
MOLITOR Simone, VERSALL Patrick, DUSCHINGER ANNETTE, MART Colette
LUXEMBURGER WORT:
BECKER Nathalie, EISEN Marianne, CAILTEUX Nathalie, HICK Thierry, W. STAUCH von Quitzach, VON BROICH Annabelle, Charel SCHMIT jr., Dan RODER
REVUE:
SEIL Gabrielle
TAGEBLATT:
BESCH François
ZEITUNG VUM LËTZEBUERGER VOLLEK:
PISANI Giulio
Sacha Heck pour le travail accompli et notre bonne collaboration.
Rendre pérenne l’instant, le rythme et le mouvement
L’artiste luxembourgeoise Margot Reding-Schroeder a indubitablement choisi d'inscrire ses travaux actuels dans ce processus de pérennisation de l'instant, du rythme et du mouvement. En effet depuis quelques années, dans le cadre des cours qui lui sont dispensés à l'Europäische Kunstakademie de Trèves, l'artiste a appris à travailler sur le modèle et sur le vif et surtout à fixer sur le papier et sur la toile la gestualité improvisée des danseurs et nous rendre l’intensité du mouvement par la vibration de la touche.
Tout n’est que frémissement, pulsation, jaillissement. Les corps se contorsionnent, vivent le rythme saccadé de la musique. Cependant, Margot Reding-Schroeder ne recherche pas la véracité anatomique des corps, elle va à l'essentiel. Elle laisse son outil entamer une chorégraphie à l'instar de celle des danseurs. Son geste nous semble être quasi-automatique, telle la conséquence d'une transe. Parfaitement concentrée sur la danse et la musique expérimentale qui évoluent autour d'elle, l'artiste s'abandonne aux vibrations de vie, puise dans son intériorité et libère par le dessin l'énergie accumulée grâce aux rythmes et aux résonances.Tout ce processus créatif est nimbé par des notions de cheminement spirituel, d’évolution personnelle, de mouvement de l’âme et de l’Être, de musicalité intérieure chères à l'artiste. Naissent alors des œuvres où les différentes phases de mouvements des corps sont décomposées parfois à la manière de la chronophotographie.
Au départ, Margot Reding-Schroeder charpente les corps en mouvement par les premières touches, les premiers signes. La silhouette humaine se fait tangible . Puis au fur et à mesure, l'artiste se laisse bercer par les sons et les rythmes, l'énergie coule en flux, dynamise les tracés du fusain. Alors apparaît sur le dessin, le corps du danseur dont l'âme se libère dans la danse. Cette expérience a appris à l'artiste à porter son regard au delà des apparences, à pénétrer plus intensément les modèles qui lui sont offerts. Margot Reding-Schroeder parvient alors à scruter l'intériorité des choses et des êtres et la traduire picturalement dans des compositions d'une grande liberté où elle fait évoluer ses sujets du vocabulaire semi- figuratifs vers un processus d’abstraction totale. Plus qu’une simple production picturale, le travail de Margot Reding-Schroeder est « une rencontre d’être à être », un échange à la base d’une création en renouvellement perpétuel.
En effet, cette science de la captation de l'instant et du mouvement, l'artiste la doit à de nombreuses recherches et à une longue expérimentation. Voilà une dizaine d'années à peine, elle s'adonnait à une peinture dans la lignée de l'abstraction lyrique où déjà elle laissait transparaître les étapes de son évolution personnelle et de son éveil spirituel. La création est assurément et obligatoirement pour l’artiste une façon de s’inscrire dans le présent, d’interpeller les sens dont l’acuité peut parfois sommeiller sous la contingence de la matérialité. Alors, donnant une large part dans son travail à la spontanéité et à la sensibilité du moment, elle construisait à l'époque, des paysages intérieurs violemment cadencés par la complémentarité du bleu (une de ses couleurs phare) et de l’orange ou apaisés par le jeu des transparences.
Puis son travail s'est approché de l’art informel, caractérisé par des recherches matiéristes basées sur l’intégration du collage ou du sable. Puisqu'il n’existe pas dans l'art de Margot Reding-Schroeder de barrière entre le Visible et l’Invisible, les matériaux récupérés, prosaïques sont rehaussés par le geste de l’artiste et transfigurés par le regard du spectateur.
En 2011, à l'Espace 1900 à Luxembourg, le public a pu découvrir un ensemble d'oeuvres rassemblées sous l'intitulé « Materia ». Là, l'artiste nous a offert un travail en tout point paradoxal dont la richesse tenait dans son apparente pauvreté, presque son évanescence. Par le biais d’un vocabulaire minimal et expressif à la fois, Margot Reding - Schroeder nous livrait sa fascination pour les matériaux et également pour les éléments scripturaux tels que lettres, cercles, croix alliés à des grattages, des scarifications et des traces, sur des supports mixtes de poudre de marbre émaillés d’écorces d’arbres, de tissus rapportés et collés. La gamme chromatique restreinte s'y harmonisait de valeurs de blanc, de gris, de tons nus.
De pareilles compositions évoquaient en nous des surfaces pariétales, des murs porteurs de traces du temps où est inscrite l’histoire de l’humanité. Une émotion de nature méditative s’emparait alors des spectateurs. Et lorsque malgré l’intégration de nombreux matériaux, la présence de couches épaisses et texturées pouvaient alourdir les œuvres, une étonnante sensation de légèreté et de fragilité s’en exhalait puisque le propos de l'artiste était d’ordre métaphysique. Cette poudre de marbre dont elle usait, résonnait comme la poussière que nous étions et que nous deviendrons. Ainsi, la matière est pour cette peintre subtile et spirituelle le vecteur des métamorphoses de l’être et de sa vulnérabilité. C’est de l’âme dont elle nous parle dans chacune de ses œuvres et par leur biais, désire très humblement nous édifier et faire de son acte créateur le vecteur de sphères supérieures.
Nathalie Becker, janvier 2014
Historienne et critique d’Art
Auszug:
Ein Atelierbesuch bei Künstlerin Margot Reding-Schroeder in Lellingen
Ob es eigentlich immer so ordentlich und aufgeräumt ausschaue, wollen wir wissen, als wir das Atelier von Künstlerin Margot Reding-Schroeder im beschaulichen Ardennendörfchen Lellingen betreten. Die Farbbehälter stehen wie Soldaten in Reih und Glied auf einem mit Farbklecksen übersäten Holztisch, davor liegen diverse Tuben. Pinsel verschiedener Größen lugen aus kleinen Plastikeimern und Keramikgefäßen hervor, Säckchen und Tüten mit Naturpigmenten, Marmorpulver, Farbmehlen, Basalt und Beton haben Platz längs einer Wand auf dem Boden des geräumigen, hellen Ateliers auf dem Dachboden des traditionellen Dorfhauses gefunden.
„Nein“, gesteht die Künstlerin und lacht, „ich habe extra aufgeräumt. Normalerweise sieht es chaotischer aus, obwohl ich abends nach getaner Arbeit immer für etwas Ordnung sorge. Ich lasse nie alles einfach rumstehen, sonst würde ich irgendwann den Überblick verlieren, dabei ist es im Schaffensprozess wichtig, alles schnell griffbereit zu haben“. In der Regel herrscht also ein geordnetes Durcheinander, schlussfolgern wir. Wie man an den Farbspritzern auf dem mit Plastikfolie überzogenen Holzboden sieht, dient auch er gelegentlich als Arbeitsfläche. „Es hängt immer davon ab, was ich gerade mache. Im Sitzen male ich nie. Der Stuhl ist eigentlich nur Dekoration“, schmunzelt Margot Reding-Schroeder. „Ich muss stehen, im Sitzen geht nichts. Wenn man sitzt, hat man ja auch keine Dynamik“, fügt sie hinzu.
Mehr Kunstgalerie als Wohnhaus
Die luxemburgische Künstlerin lebt und arbeitet in den Luxemburger Ardennen sowie in ihrem zweiten Atelier in der Hauptstadt. Ihr Haus mit seinen verwinkelten Gängen, schmalen Fluren und kleinen gemütlichen Zimmern in Lellingen ähnelt derweil einer großen Kunstgalerie. An den Wänden hängen eigene Werke verschiedener Serien. Manche Bilder seien kaum älter als einen Monat, erzählt sie uns. Ein thematischer „Dauerbrenner“ seien die Tanzszenen, die während Live-Improvisationen in der Kunstakademie in Trier entstehen. „Es wird live getanzt und live gemalt. Auch die sehr spezielle, moderne Musik spielt eine Rolle und inspiriert mich. Das ist manchmal ein stundenlanger, intensiver Prozess und deshalb auch sehr anstrengend, weil man sich total auf das konzentriert, was vor einem passiert. Danach ist man tatsächlich richtig müde und ausgelaugt. Natürlich kommen ganz ursprüngliche Sachen dabei raus. Die Tänzer lassen genauso los wie die Künstler. So entsteht eine sehr besondere Atmosphäre und Dynamik“, schildert sie vor einer Bilderserie, bei der sie auf Mischtechnik setzt und Tinte, Ölbarren, Acryl sowie Bleistift und Schwamm benutzt. Die Farben, gerne auch kräftiger, wählt sie in dem Augenblick instinktiv. In den figurativen Bildern herrscht eine spürbare Bewegung.
Simone Molitor
(Artikel siehe unter „Rhythmische Bilderwelt“ Journal 1.9.2017)
Margot Reding-Schroeder: Un 10 novembre à marquer d’une pierre blanche
Mais que se passe-t-il donc ce 10 novembre? Eh bien, ce jour là, ainsi que les 11 et 12 novembre, vous pourrez vous-en mettre plein la vue et sentir vibrer votre sensibilité comme une lyre devant les créations de Margot Reding-Schroeder. Et vous pourrez admirer presque deux décades de l’évolution créative d’une de nos artistes majeures, tout à la fois sculptrice et, surtout, conceptrice d’une expression picturale rare, grâce, notamment, à une centaine de planches et photos réunies en un splendide livre-album(1). Tout à la fois évènement, vernissage, exposition de peintures et découverte d’un livre d’art exceptionnel, voilà ce qui vous est proposé à la Galerie Schortgen(2) spécialement ce mardi 10 novembre à 18 heures avec une présentation par l’historien et critique d’art Patrick-Gilles Persin(3). Ensuite, vous pourrez admirer aux cimaises de la galerie un choix d’originaux d’oeuvres reproduites dans le livre pendant que l’artiste le dédicacera à ceux qui le désirent. Voilà pourquoi c’est une date à marquer d’une pierre blanche! Quoique, si vous êtes empêchés à cette occasion, vous pourrez encore voir le livre et admirer l’expo deux jours de plus, jusqu’au jeudi 12 novembre inclus, durant les heures normales d’ouverture de la galerie.
Ce n’est pas tous les jours qu’il m’est donné de présenter un si bel ouvrage et, de plus, illustrant vie le travail d’une ancienne connaissance de notre petit monde des arts plastiques comme Margot Reding-Schroeder. Enfin... pas si ancienne que ça – tout est relatif –, puisque ma première rencontre avec son art remonte à son exposition «Traces – Spuren» de mars/avril 2008. Et ce ne fut qu’un début. Suivirent en mai 2011 «Materia» à l’ «Espace 1900» et, il y a un an, une visite de son atelier qui me permit de vraiment réaliser à quel point les deux précédentes expositions présentaient ses deux principales facettes créatrices. Et je ne me privai pas de l’écrire dans ces colonnes, outre le fait que, dans les deux cas, son élégante peinture aux graphismes appuyés et aux tons pastel, tout à la fois sobres et joyeux, me parut au premier abord abstraite... Mais elle ne l’était pas, et je précisai alors que, grâce à ses confidences et en refusant pour ma part de m’arrêter aux apparences ou de me contenter du coup d’oeil «en passant», je parvins à soulever une part du voile qui peut dissimuler l’âme de ses oeuvres.
Ancrées ici dans la puissance quasi-immobile de la terre et ailleurs s’en évadant par le mouvement de la vie, ses créations – sculptures, peintures, gravures, dessins, etc. – reflètent comme une «janusté» sans rien de figé, mais dont les deux faces principales varient au gré de l’humeur et de l’inspiration. En 2011 son travail me parut tendre davantage vers l’art abstrait, soit né de geysers subconscients ou mnémoniques, soit résultat de gestes aléatoires ou ordonnés selon tel ou tel autre critère. Mais aujourd’hui, parvenue peut-être au bout (l’est-on jamais?) de sa quête, elle semble avoir décidément fait le choix du mouvement, et si elle ne renie pas une abstraction que sa recherche d’esthétisme pur risquait de désincarner, elle attige toujours davantage à des pulsions sublimées dans son amour de la danse. Déjà les splendides collections de toiles et cartons que je pus admirer en 2014 dans son atelier illustraient cette profession de foi qu’elle formula en une seule phrase. Je cite: «Quand je peins, dessine, compose, expérimente avec la matière, inspirée par la beauté de la nature, la vibration d’une musique, d’un poème, ou encore fascinée par des mouvements de danses contemporaines, je vis des moments privilégiés, en dehors du temps...».
L’art de Margot Reding-Schroeder serait-il devenu figuratif? Oui et non... mais nullement au sens convenu de terme. Certes, ses tableaux figurent quelque chose de bien précis, mais non de spécifiquement matériel. Je m’explique: Quand nous regardons l’athlète courir, sauter, lutter, nous voyons son corps, ses membres bouger, se déplacer par rapport à l’immobilité du milieu. C’est cela que nous voyons et dont usuellement l’artiste représente ce qu’en photo on appelle un instantané, et non le mouvement lui-même, qui est une résultante, un effet, une abstraction. Mais non pour Margot Reding-Schroeder, dont la peinture figure la danse plutôt que les danseurs, ce qui m’amène – pardonnez ma prétention – à qualifier son art de peinture kinésique(4). Celle-ci développe ensuite, par son achèvement et exposition, une puissance rare valorisée par le caractère interactif de l’oeuvre, qui le devient surtout, quoique très différemment, oeuvre d’art, par le regard du spectateur. C’est un véritable dialogue entre deux personnes – l’artiste et le spectateur – interdépendantes dans la création. Mais les deux acteurs deviennent trois quand le sujet de l’oeuvre est actif et que son action est partie prenante de la création. Ici les sujets, des danseurs, offrent non pas tant leur corps, tel des modèles, mais leurs mouvements, mimiques, gestes, rythmes et musiques que l’artiste rend sur papier ou toile en même temps qu’elle intériorise et mémorise le sentiment qu’ils lui inspirent. Une troisième dimension s’ajoute donc aux deux précédentes et accroit d’un facteur nouveau l’interaction créatrice.
Un tableau de Margot Reding-Schroeder se compose dès lors de trois éléments: 1° le ou les danseurs, dont ne restera que, 2°, la représentation graphique de leur art sublimé par la main et l’esprit de l’artiste-peintre et, 3°, l’image que perçoit, intègre, interprète à sa manière et s’approprie le spectateur du tableau. Mais l’une des caractéristiques majeures, sinon la principale, de cette peinture kinésique, est l’éphémérité de chaque moment de la création première, la danse, ainsi que l’instantanéité irréversible de sa captation par l’artiste. Et Patrick-Gilles Persin de préciser justement dans sa riche et très pertinente présentation: «Margot Reding-Schroeder pense que le geste (représenté) est souvent trop classique, trop figé (...) L’improvisation, au contraire, implique l’immédiateté du rendu qu’elle exécute (...) en temps réel (...) Il ne peut donc y avoir du repentir, de gommage ou de reprise d’un trait...». Eh bien, à vous de découvrir le reste, amis lecteurs, aussi bien aux cimaises de la galerie qu’en lisant et en visionnant le splendide livre qui vous y sera présenté!
Giulio-Enrico Pisani
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1) 143 pages, 25,5 x 30 cm.
2) Galerie Schortgen Artworks, 24, rue Beaumont (tel.5464.8744), Luxembourg centre. Exposition Margot Reding-Schroeder de mardi 10 au jeudi 12 novembre inclus. La galerie est ouverte de 10,30 à 12,30 et de 13,30 à 18 h. et, exceptionnellement, Mardi 10 novembre, en soirée (après 18 h.)
3) Patrick-Gilles Persin est en outre écrivain, commissaire d’expositions, expert agréé UFE (Union française des experts) depuis 1978, membre de l’Association internationale des critiques d’art (AICA) et membre du comité de rédaction de plusieurs revues spécialisées (depuis 1980), président du Salon Grands et jeunes d’aujourd’hui (depuis 1998) et de la Fédération des salons d’artistes (depuis 1994).
4) Ne pas confondre avec l’art cinétique (bien connu), qui propose des oeuvres partiellement, voire entièrement mobiles.
L’atelier dansant de Margot Reding-Schroeder
Ça ne m’arrive pas tous les jours, amis lecteurs, de me voir invité dans l’atelier de l’une des plus virtuoses et émouvantes artistes peintres du pays. Simple dilettante, je me contente en général de vous présenter quelques expositions en galerie ou, à la rigueur, au musée, question de vous faire partager mon amour pour l’art. Appelé aujourd’hui à approcher au plus près l’ambiance créatrice de l’artiste et à entendre ses confidences (professionnelles, bien sûr), je m’empresse de vous les transmettre. J’avais pourtant déjà rencontré Margot (1) une première fois en mars 2008 dans l’éphémère Galerie Soraya, rue des Bains, à l’occasion de son expo « Traces–Spuren » qui m’avait inspiré un premier article que j’intitulai « L’insoutenable légèreté de l’être... ». Et rebelote en mai 2011 à la galerie Espace 1900, où son « Materia » apparut dans nos colonnes intitulé « Odyssée de la terre ». Mais ce n’est qu’aujourd’hui, à l’occasion de cette troisième rencontre, que je réalise à quel point ces deux titres représentent deux de ses principales facettes créatrices. Il est vrai que dans les deux cas, son élégante peinture aux graphismes appuyés et aux tons pastel, tout à la fois sobres et joyeux, me parut au premier abord abstraite.
Et c’est justement grâce à ses confidences et en refusant pour ma part de m’arrêter aux apparences, ou de me contenter du coup d’oeil « en passant », que je parvins à soulever une part du voile qui dissimule au passant pressé l’âme de ses oeuvres. Ancrées ici dans la puissance quasi-immobile de la terre et ailleurs s’en évadant par le mouvement de la vie, ses créations – sculptures, peintures, gravures, dessins, etc. – reflètent comme une « janusté » sans rien de figé, mais dont les deux faces principales varient au gré de l’humeur et de l’inspiration. En 2011 son travail me parut tendre davantage vers l’art abstrait, donc, soit né de geysers subconscients ou mnémoniques, soit résultat de gestes aléatoires ou ordonnés selon tel ou tel autre critère.
Mais aujourd’hui, si Margot ne renie point une abstraction qu’une exigence d’esthétisme pur risque de désincarner, elle me semble vouloir de nouveau et de plus en plus attiger à des pulsions sublimées dans son amour de la danse. Aussi, les splendides collections de toiles et de cartons que je pus admirer ce 18 septembre dans son atelier d’Eich, au 17, montée Pilate, me ramenèrent aux paroles de l’artiste que je lus en 2008, mais qui remontent peut-être à bien plus loin. Je cite: «Quand je peins, dessine, compose, expérimente avec la matière, inspirée par la beauté de la nature, la vibration d’une musique, d’un poème, ou encore fascinée par des mouvements de danses contemporaines, je vis des moments privilégiés, en dehors du temps ...».
Voilà des mots qui illustrent merveilleusement, et bien mieux que je ne le pourrais, son graphisme pictural d’une force d’expression poétique étonnante ! C’est ce qui m’amène à une brève digression, afin de bien faire comprendre la particularité de cette peinture. J’ai déjà répété plus qu’à mon tour le caractère interactif de l’oeuvre d’art, celle-ci ne le devenant réellement, bien que parfois différemment, que par l’œil du spectateur. Il s’agit d’un véritable dialogue entre deux personnes – l’artiste et l’amateur – interdépendantes dans la création. Ceci est également vrai pour ce qui est de bas-reliefs ou peintures à l’abstraction plus ou moins statique qui sortent des mains de Margot. Mais les deux acteurs deviennent trois quand le sujet est actif et devient nolens volens partie prenante de l’oeuvre. Ici les sujets, des danseurs, offrent non pas tant leur corps, tel des modèles, mais leurs mouvements, mimiques, gestes, rythmes et musiques que l’artiste fixe sur papier ou toile en même temps qu’elle intériorise et mémorise le sentiment qu’ils lui inspirent. Une troisième dimension s’ajoute donc aux deux précédentes et accroit d’un facteur nouveau l’interaction créatrice. L’oeuvre d’art est dès lors constituée de trois éléments. Ceux-ci sont, 1° l’ensemble chorégraphique des artistes danseurs, 2° le dessin et/ou la peinture où spectacle et musique se retrouvent sublimés par la main et l’esprit du peintre et 3° l’image que perçoit, intègre, interprète à sa manière et s’approprie le spectateur du tableau.
Même si les figures et les contours du modèle paraissent peu distincts dans la résultante de chacune de ces triades interactives et interdépendantes, les créations de Margot sont absolument figuratives. En effet, loin d’être approximative comme le suggère parfois le terme « semi-abstrait » dont j’ai moi-même trop usé dans le passé, cette imago l’est entièrement, figurative, car elle ne porte pas sur la matière du sujet, mais sur son mouvement et son expression musicale qui constituent l’essentiel de la représentation. C’est – à titre d’exemple – ce que recherchaient déjà, sans entièrement y parvenir, car encore trop influencés par la reproduction académique, le poétique Manet avec ses « Danseuses sur scène » ou, mieux encore et même beaucoup mieux, le dramatique Turner avec sa «Tempête de neige».
Dans les figurations de Margot, tout est mouvement, rythme, musique, c’est-à-dire parfaitement représentatif de ce qu’habituellement, par facilité intellectuelle, nous ne voyons et percevons que l’apparence superficielle, le premier degré. Elle nous offre bien plus l’élégance, les envols, les pirouettes, les entrechats, les embrassements, les affrontements, les fusions, les contorsions, le rire, la sueur, la souffrance, les élans, les bonds, les chutes, les arrêts, les reprises, les courses, les passions, les langueurs et j’en passe. Et elle permet à nos yeux d’entendre des cris, des plaintes, des susurrements, des rires, des trilles, des accords, des mélodies, des staccatos, des andante, des appassionato, des allegros, des forte, fortissimo, adagio, ou autres decrescendo...
Tout cela – mouvement, son, poésie – et davantage encore, elle le réalise sur papier, carton, toile ou autre substrat avec ses pinceaux, ses barres d’huile pressée (oil bar), à l’encre de Chine ou/et à l’acrylique dans une gamme chromatique assez étroite, limitée grosso modo aux couleurs de la terre. On la dirait presque désireuse de se faire pardonner par cette dernière son infidélité (sans doute plus que passagère) en faveur de l’aérien, du sonore, du vibrant, frémissant, dansant. Aussi, quelques rares, parfois à peine détectables, clins d’oeil mis à part, ses scènes dansantes se déroulent toutes dans les ocres, le graphite, le sépia, l’ardoise, l’anthracite, la terre de Sienne, la terre d’ombre, sur des théâtres d’ombres aux traits pourtant marqués, puissants du jeu de ses acteurs. Marques du vivant plutôt que de la vie, ces scènes ne naissent pas, comme les formes de sa série « Traces » du « pinceau du peintre / témoin muet / de nos vies / (qui) en touchant la toile / n’a qu’un seul espoir / laisser des traces » (2). Elles n’en sont cette fois pas simplement des traces. Dans son évolution, Margot est parvenue à atteindre, à rendre, à offrir au monde la pérennisation des mouvements qu’elle exprimer sans les fixer.
Giulio-Enrico Pisani
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1) Merci à Madame Reding-Schroeder de m’avoir permis cette familiarité pour des raisons de concision ! Le joli nom de Margot n’est-il pas préférable à un anonyme M.R.S. ?
2) Extrait d’un poème de l’artiste.
Einiges zum Schaffensprozess (für Margot Schroeder)
Wir wollen jetzt der Malerin einmal beim Malen über die Schulter schauen, verehrte Damen und Herren. Und das geht natürlich nur retrospektiv bei einer solchen Vernissage. Denn die Bilder sind ja schon gemalt und hängen hier an den Wänden. Wir spüren ihre Energie und fragen unwillkürlich: Wie ist das gemacht? Woher rührt diese Lebendigkeit und das Vibrierende, welches ihnen förmlich eingeschrieben ist? Wie kommt so etwas zustande?
Das Motiv ist der Tanz, oder vielmehr: Es sind die Tänzer, sie sind das Bildmotiv, der Bildgegenstand. Der Tanz ist das Thema. Aber Motiv heißt auch „Beweggrund“, nehmen wir nur das Verb „motivieren“, motiviert sein. Motivation und Emotion haben denselben Wortstamm. Und im Englischen heißt Bewegung „motion“. Alle diese Wortbedeutungen wirken zusammen, wenn Margot Schroeder mit Tänzern arbeitet – und die Tänzer mit ihr.
Denn es ist ein Dialog mit Wechselwirkung. Und das Motiv ist zugleich der Motivator. Wie auch umgekehrt die Malerin wiederum die Tänzer inspiriert. Es geht also hoch her bei diesem Malprozess. Es ist ein ergebnisoffener Prozess. Nichts steht fest, buchstäblich. Das gilt im wörtlichen wie im übertragenen Sinne, sowohl, was den Tanz betrifft, wie auch die Malerei. Es gibt keine vorgefasste Bildidee, die dann nur noch zu realisieren wäre, aber eine langjährige Erfahrung, auf die die Malerin Margot Schroeder natürlich zurückgreifen kann und die ihr zugute kommt. Aber nicht auf routinierte Weise, weil die Situation das gar nicht zulässt, in eine Routine zu verfallen.
Es ist immer alles wie vor der Erschaffung der Welt, bei jedem neuen Bild. Und auch die schnellen Bilder, die auf Anhieb gelingen, haben einen langen Vorlauf. Und dann gibt es diese Kampfbilder, die immer wieder weggestellt und hervorgeholt werden, um an ihnen weiterzuarbeiten. Produktives Zerstören und Wiederaufbauen! Es gibt die Verzweiflung und das Gelingen. Ja, verehrte Damen und Herren, ich scheue mich nicht, zu sagen: Es ist dies ein Prozess, der durch alle Höhen und Tiefen der Seele greift. Ergriffenheit, Musik, Konzentration – hoch konzentriertes Arbeiten. Der Blick geht hin und her zwischen Tänzer und Bild: Jetzt zeichnet sie, dann malt sie. Jetzt sehen wir sie vor- und zurücktreten an ihrer Staffelei. Jetzt verändert sie eine angefangene Figur, übermalt sie schließlich ganz, um eine neue Form zu finden. Jetzt ist sie ganz in ihr Bild vertieft und wirft nur noch ab und zu einen Blick auf die Tänzer. Jetzt hadert sie mit sich, schimpft vor sich hin und ist gleich darauf wieder ganz vertieft. Jetzt ruft sie „Stop!“, weil sie ein bestimmtes Bewegungselement wiederholt haben möchte. Und die Tänzer reagieren entsprechend ... Malen ist das Gegenteil von Schönfärberei. Es geht auch nicht um Abbildhaftigkeit, sondern um bildnerische Entsprechung in eben jener ideomatischen Form, die wir als Handschrift des Künstlers oder der Künstlerin bezeichnen. Linie und Fläche ergänzen sich oder treten als Gegenspieler auf und machen das Bild zu einem Spannungsgefüge. Es ist ein Tanz, der niemals endet. Soviel zur Information, verehrte Damen und Herren, auf dass Sie im Bilde sind, wie man so sagt. Dieses „im Bilde sein“ ist für unsere Malerin allerdings ungleich mehr als eine Redewendung. Malen ist eine Totalitätserfahrung: Die Vermählung von Materie und Geist, „der Kampf mit dem Engel“, die Versöhnung mit Gott und der Welt. Aber sie hält nicht lange vor. Früher oder später kommt die Unruhe wieder – und dann geht es erneut ans Werk.
Aber jetzt wollen wir feiern und haben allen Grund dazu.
Ich danke Ihnen für Ihre Aufmerksamkeit.
Wolfgang Mannebach, 7. Mai 2013
Dozent Europäische Kunstakademie Trier